Klebostuo, Wolfsschucht, Forra del Lupo. Il primo è il nome in lingua cimbra, il secondo quello dato dall’esercito imperiale austro-ungarico durante la Grande Guerra, l’ultimo, più banalmente, è la traduzione italiana del toponimo tedesco, mentre “roccia fessurata” è il significato del termine cimbro. Siamo sul margine meridionale dell’altopiano di Folgaria, a due passi da Rovereto, tra Valsugana e Gruppo del Pasubio, e a picco sulla Valle di Terragnolo. La mia meta di oggi, in una giornata di metà autunno, è un magnifico e suggestivo percorso storico, che affonda le radici lontano nel tempo, e che venne poi ampliato e utilizzato dai soldati imperiali per controllare la valle sottostante e le pendici del Pasubio, dove erano attestati i militari italiani. Un itinerario storico, quindi, pregevolmente recuperato e risistemato dai locali gruppi dell’Associazione Nazionale Alpini e della Società Alpinisti Tridentini, che hanno anche posizionato, lungo il percorso, diversi pannelli con fotografie dei medesimi luoghi all’epoca del conflitto, in una sorta di viaggio nel tempo tra passato e presente.
Incassati tra le rocce
È una giornata limpida di metà autunno, l’aria fresca mi accoglie mentre mi preparo a partire da Serrada, un piccolo paese incastonato tra i monti sopra Rovereto. Mi incammino lentamente dal margine meridionale del borgo, in località Cogola, immergendomi subito nel bosco. Il percorso, segnato con il segnavia n° 137, inizia dolcemente tra alberi di latifoglie e conifere, con la luce che filtra attraverso i rami, creando giochi di ombre sul terreno. Per una larga cengia tra pareti rocciose coperte dalla vegetazione, salgo a un punto di osservazione militare, affacciato sulla valle sottostante, quindi proseguo con la vista che si apre verso il Monte Maggio. Percorrendo questa lunga trincea, questo corridoio naturale tra alte pareti, ogni passo sembra avvicinarmi sempre più a una storia che ha lasciato segni indelebili su queste montagne. Una breve salita mi conduce alla località Orban, e qui il sentiero entra più decisamente nella trincea, assecondando sinuosamente la morfologia del versante. Ora in discesa, percorro un profondo canyon, prestando attenzione alla roccia umida degli alti gradini, in un ambiente che diventa più severo e silenzioso. Le pareti di roccia si alzano attorno a me, avvolgendomi in una stretta gola. Mi fermo un istante e osservo le feritoie scavate nella pietra, i ricoveri, i punti di osservazione da cui, un tempo, i soldati austro-ungarici sorvegliavano la Valle di Terragnolo e le pendici del Pasubio, la montagna sacra del Trentino. Mi chiedo cosa provassero, quei giovani uomini, mentre il vento gelido tagliava la pelle e le voci della guerra risuonavano a breve distanza.
Antiche fortezzeIl percorso continua con modesti saliscendi, con la trincea che in alcuni punti si “scopre”, affacciandosi verso la valle, e riesco a godere, oltre che della vista, anche dei tiepidi raggi di sole che riscaldano il versante. Transito tra suggestive fenditure nella roccia, salgo lungo scale ancora perfettamente conservate, e in breve raggiungo la località Caserme, dove un tempo si trovavano gli edifici che ospitavano le truppe. Oggi rimangono solo i ruderi, ma l’atmosfera del luogo conserva qualcosa di vivo, quasi come se le pietre fossero testimoni silenziose di quel passato drammatico. Da qui potrei salire a sinistra e raggiungere subito il crinale, ma preferisco continuare ancora, e ignorata la traccia che scende a destra in Valle di Terragnolo, presso la spianata delle Teze, salgo nel bosco seguendo la trincea ancora perfettamente conservata, con diversi tratti ripidi, e uscendo dalla vegetazione, ormai in vista dei prati sommitali, incontro una galleria nella roccia (evitabile a sinistra) e poco sopra raggiungo infine i ruderi del Forte Dosso del Sommo (Werk Serrada, come lo chiamavano gli austriaci). Davanti a me, le imponenti rovine del forte si stagliano contro il cielo. Era costituito da tre corpi, il principale lungo 100 metri e largo 8, che si sviluppava su ben tre piani. La casamatta, realizzata in calcestruzzo, comprendeva gli alloggi per la guarnigione, le cucine, una centrale elettrica, una sala macchine, magazzini e depositi per le munizioni. Ai tempi era una delle fortezze più grandi dell’arco alpino, costruito per controllare la valle e impedire l’avanzata delle truppe italiane. Camminando attorno ai suoi resti, ancora oggi si percepisce la grandiosità della struttura, sebbene ridotta a macerie. Il forte, bombardato durante il conflitto e successivamente demolito per recuperare l’acciaio, racconta una storia di resistenza e distruzione. Tutto intorno, lo sguardo si perde tra le vette del Pasubio, i ghiacciai dell’Adamello e della Presanella, e più in là, il Monte Stivo che si protende verso il Lago di Garda. È una vista mozzafiato, una bellezza che quasi contrasta con la tragedia che si è consumata qui, tra queste pietre. Dopo una lunga e pensierosa sosta, decido di iniziare il ritorno seguendo il segnavia n° 136 che, passando per il rifugio Baita Tonda, mi riporta lentamente verso Serrada. Con la consapevolezza, per certi versi nuova, che ogni angolo di questa terra nasconde un frammento di memoria, un pezzo di storia che aspetta solo di essere riscoperto. E che il vero tesoro di questo luogo non sono solo le rovine del forte o le trincee di pietra, ma ciò che esse rappresentano: la capacità della natura di guarire e di ricordare, silenziosa e imponente.
IL PERCORSORegione: Trentino – Alto Adige
Partenza: Serrada, loc. Cogola (1250 m)
Accesso: dall’uscita di Rovereto Nord sulla A22, si seguono le indicazioni per Folgaria, Lavarone e Lusèrn, quindi, giunti alla rotonda di Folgaria, procedere per Serrada; in alternativa, dalla rotonda presso la stazione ferroviaria di Rovereto, la SP2 conduce direttamente a Serrada
Arrivo: Forte Dosso del Sommo (1662 m)
Dislivello: 450 m
Durata: 2 h e 30 min
Difficoltà: E (escursionistico)
Articolo di
L'AltraMontagna