I
Cimbri sono un antico popolo di origine tedesca, probabilmente dei coloni bavaresi chiamati dai feudatari imperiali per lavorare nei boschi (pare che, nella loro lingua, boscaiolo si dicesse tzimbar). In Italia arrivarono intorno al XII secolo e si stanziarono sulle montagne del Nord-Est, sparsi tra la Lessinia veronese, l’altopiano di Asiago e, in Trentino, su quella che oggi chiamiamo
Alpe Cimbra. Questo piccolo popolo ha custodito, per secoli, con tenacia, la propria lingua. È un tedesco arcaico e oggi è la più antica parlata esistente del dominio linguistico tedesco e quella localizzata più a sud di tutte.
L’Alpe Cimbra, che ha in
Folgaria,
Lavarone e
Luserna i suoi insediamenti principali, è una micro regione che alterna rilievi di oltre 2000 metri a pascoli, boschi e torrenti cristallini. È attraversata da sentieri che, grazie alle ciaspole possono essere attraversati anche nella stagione invernale.
Una sosta al borgo dipinto
Poco fuori Folgaria, nei pressi di un distributore di benzina lungo la strada statale che conduce a Rovereto, alcuni cartelli indicano la direzione per la
cascata dell’Hofentol e per il paesino di
Guardia. Il sentiero per lunghi tratti è semi pianeggiante. Dopo aver attraversato la foresta della Gon e superato delle cascatelle, gelate nei mesi invernali, si raggiunge la cascata dell’Hofentol, in una profonda forra naturale. Proseguendo si raggiunge Guardia, con i
murales sulle facciate delle case, risultato delle rassegne di
street art che il paese ospita dal 1988.
Vicino al campanile di
San Sebastiano, una frazione di Folgaria, parte un sentiero che in poco più di un’ora conduce all’affascinante Segheria dei Mein, così chiamata dal soprannome della famiglia proprietaria, i Tezzele Mèighen. Il patriarca fu Carlo che la inaugurò nel 1840, mentre l’ultimo segantino in attività fu Ottorino che, continuando a sfruttare le pale di un mulino ad acqua per azionare la sega, mantenne l’opificio in funzione fino al 1975.
In piena attività è invece
Serafino Incani, residente a San Sebastiano di Folgaria. Originario della Sardegna, aveva lasciato l’isola «per scappare da un’esistenza in mezzo alle pecore», confessa sorridendo. «Ero segnato, basti pensare che il mio nome di battesimo è un omaggio al pastore interpretato da Adriano Celentano in un film uscito poco prima che nascessi». Nel 2014, suo figlio Andrea, all’epoca prossimo alla laurea in Storia e Filosofia all’Università di Trento, comprò due caproni. Nel giro di pochi anni Serafino, nel suo maso (che non poteva che chiamarsi Guez, dal cimbro «capra») si è trovato ad allevare un centinaio di capi tra capre camosciate delle Alpi e bionde dell’Adamello. Il loro latte viene trasformato da Andrea in formaggi prodotti nel caseificio che ha aperto in paese. Il pezzo forte è una caciottina fresca con dentro le proteine della ricotta e alcune erbe dell’altopiano. Serafino, non si limita ad accudire le sue
capre. Se d’estate le usa per fare dei
trekking con i ragazzi, nei mesi invernali organizza
passeggiate nella neve su una slitta trainata da due caproni.
Bellissima anche la ciaspolata sul sentiero "
Il respiro degli alberi", 6 km scarsi che percorrono un tratto dell’altopiano lavaronese, affacciato sulla profonda valle del Centa e sull’Alta Valsugana. Lungo il percorso si incontrano sculture dedicate agli alberi come elemento di vita.
Affascinante è anche la
gigantesca opera d’arte a
Magrè, una frazione di Lavarone. Alta più di 6 metri e lunga 7, è un’opera unica nel suo genere a partire dalla realizzazione. Di solito, lo scultore toglie il legno per arrivare al risultato finale, qui il procedimento è inverso. Come in un gigantesco puzzle sono stati messi insieme circa 2000 pezzi di radici di alberi divelti dalla tempesta Vaia, uniti da più di 3000 viti.
Un’idea figlia della mission di
Avez del Prinzep, un comitato nato per valorizzare i resti degli alberi monumentali dei boschi di Lavarone caduti per le forti raffiche di vento nel 2017.
Interessante anche la visita alla casa museo "
Haus Von Prükk" a Luserna. È divisa tra due case contadine cimbre di epoca e tipologia diverse, entrambe restaurate per conservarne le caratteristiche delle facciate, degli ambienti e degli arredi. È il luogo giusto per chiudere l’escursione in quest’angolo di Trentino dalla storia secolare.