Nato da un’idea dell’artista Giampaolo Osele, il percorso si trova nei pressi di Lavarone ed è un viaggio alla scoperta dell’anima più creativa e selvaggia di un territorio che sprizza autenticità. Il bosco con i suoi silenzi interrotti dal vento. Un intreccio di rami che vibra e crea giochi di luce e ombra, invita all’ascolto del respiro degli alberi. Ascolto, questo il nome dell’opera di Antonella De Nisco e Giorgio Teggi (Associazione LAAI), una delle interpretazioni che artisti vari hanno dato – e danno, visto che ogni anno si aggiungono nuove opere – del ruolo dell’albero in un itinerario di arte contemporanea. Che si chiama Respiro degli alberi, è in un bosco nei pressi di Lavarone, in Trentino, ed è nato da un’idea dell’artista trentino Giampaolo Osele. Degli alberi il bosco racconta: come esseri umani conservano, dentro di sé, il proprio passato. Anche quando, trasformati in travi o oggetti di legno in case o in qualsivoglia altro luogo, cambiano sembianze. Rilasciando le proprie tracce e assorbendone di nuove. Una serie di cubi come contenitori di memorie, attaccati a una roccia lungo il sentiero tra gli alberi, illustra questo tema con il nome Memorie di un bosco, dell’artista Paolo Vivian.
L’albero si eleva verso l’alto: in un atto attraverso cui l’uomo raggiunge il cielo. Le mani rivolte all’insù, punto più alto della figura umana, rappresentano, in Verso la luce di Alessandro Pavone, la spinta vitale. L’albero eleva l’uomo e il suo pensiero verso il cielo; lo sguardo dell’uomo si inerpica tra i rami e si libera nel cielo. E il corpo umano scolpito nel tronco di cedro rivela di essere fatto della stessa sostanza dell’albero. A guidare il visitatore all’interno del bosco che sa di mistero, un cavallo, Sleipnir. L’opera dell’artista Duilio Forte è ispirata al leggendario cavallo di Odino, ritenuto, nella mitologia scandinava, il miglior cavallo che esista.
Oggi, in Trentino ci sono cinquecento milioni di alberi (circa mille per ciascun residente). Eppure, nella Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, di cui fa parte il percorso Respiro degli alberi, fino alla fine della Prima Guerra Mondiale di alberi rimasti in piedi non ce n’erano più. Perché gli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna – i comuni che formano la Magnifica Comunità – hanno svolto un ruolo di primo piano nella Grande Guerra, accogliendo il sistema dei forti lungo il confine che allora divideva l’Impero Austro Ungarico dal Regno d’Italia (lo stesso confine odierno tra Trentino e Veneto). Per questo, gli alberi hanno pagato un alto prezzo.
Con la fine della Guerra, sul suolo rimanevano interi boschi destinati a marcire e residui degli insediamenti militari. Per questo i dintorni di Vezzena si riempirono di piante di lamponi, che contribuirono all’economia locale: la Zuegg comprò grandi quantitativi di frutta per produrre le proprie confetture. L’economia di sostentamento legata al territorio, generoso di piante spontanee, è durata fino agli anni Settanta, per soddisfare la richiesta dei mercati forestale, alimentare e farmaceutico.
Superati i comuni di Folgaria e Lavarone, in bilico tra turismo e autenticità, la provinciale per Luserna si fa più stretta e la luce deve chiedere permesso agli alberi per far capolino. Solitaria, la strada annuncia il leitmotiv di Luserna: borgo bellissimo, di poche anime, qualche centinaio, magnificamente esposto su una balconata da cui si gode un gran panorama, ma spopolato.
Problema che si è cercato di contrastare, di recente, con il progetto Coliving, messo in atto dalla Fondazione Franco Demarchi. Il progetto di valorizzazione del patrimonio abitativo pubblico situato in territori montani marginali, che utilizza la forma dell’abitare condiviso per migliorare il benessere della comunità locale, ha permesso a famiglie interessate a trasferirsi a Luserna, di farlo in alloggi messi a disposizione a canone zero in cambio di lavori a favore della comunità. Non è raro, nell’atmosfera intatta delle stradine di Luserna, sentir parlare, pur dalle poche persone che s’incontrano, uno strano tedesco.
1) Museo Luserna (Ph. Arturo Di Casola)
La ragione è che il villaggio, eletto uno dei Borghi più belli d’Italia, è un’enclave cimbra. Minoranza etnica, i cimbri, discendenti da boscaioli e contadini bavaresi che, tra i secoli XI e XII, giunsero in questo angolo alpino in cui s’incontrano le odierne province di Trento, Vicenza e Verona, per coltivare i duri terreni montani dopo averli disboscati, e far nascere nuovi villaggi.
Transitata attraverso vicissitudini nel corso del tempo, con il fascismo che ne impedì l’uso della lingua, la comunità cimbra, ridotta ormai a poche migliaia di persone tra Luserna, i Sette Comuni dell’Altopiano di Asiago e la Lessinia veronese, mantiene stretti identità e patrimonio culturale. Favorita da isolamento e orgoglio dei suoi membri.
Il richiamo alla natura è presente nel nome della band folk-metal Balt Hüttar, che in cimbro significa “guardiani del bosco”, originaria dell’Altopiano di Asiago e che attingendo a leggende, filastrocche e storie antiche, si propone di rivitalizzare la lingua e cultura cimbra. Mescolando, in chiave moderna, sonorità e lingue diverse.
La recente iniziativa dell’Istituto Cimbro Kulturinstitut Lusérn con la mostra Piante selvatiche e noi, è stata, invece, quella di compilare un erbario cimbro di Luserna, per conservare e trasmettere il ricco patrimonio legato alle piante selvatiche prima che scompaia, con i nomi scritti in lingua cimbra. A testimoniare che il rapporto di queste persone con boschi e alberi è tuttora vivo e parte del patrimonio culturale.
Linkiesta
Articolo di Arturo Di Casola