1) Storie di gusto, dalla polenta povera alla cucina gourmet
A Malga Millegrobe, sul prato dominato dal Cervo di Vaia, altra opera di land art realizzata da Marco Martalar, si svolge il concorso organizzato dalla Confraternita della Pult: l’obiettivo è celebrare il piatto più tipico di tutta l’Alpe Cimbra, fatto con patate, soffritto di porro, lardo e strutto, legato con la farina bianca abbrustolita o tostata. Viene servito col capriolo o col tonco de luganega, il tutto accompagnato con cavolo cappuccio.
“Ci sono 12 concorrenti e 10 giurati”, spiega Massimo Osele, gran maestro della Confraternita della polenta di patate, nata quando la povertà era tale da portare a sostituire persino il grano della polenta con un ingrediente meno costoso. Su questa malga si affaccia un centro per lo sci di fondo con un percorso di 40 chilometri.
C’è chi, come Luca Zotti, chef del ristorante Lusernarhof, ha fatto dei prodotti di questa terra una bandiera, diventando ambasciatore del gusto. Il locale gestito dallo chef con il fratello Andrea e la mamma Dolores (il papà Bruno fu il fondatore), è una veranda baciata dal sole affacciata sulla Val d’Astico e spesso sulle greggi di pecore al pascolo. “A Luserna siamo solo 200, ma ci sono ben nove ristoranti. La nostra cucina ci permette di differenziare l’offerta”, riassume Andrea. Dalle mani di chef Luca, una laurea in scienze naturali seguita dalla folgorazione per la cucina e da un percorso di studi passato da Alma al ristorante Le Calandre (3 stelle Michelin) con lo chef Massimiliano Alajmo, persino un ovetto e cardoncelli diventa un capolavoro di gusto. “Nel piatto porto il racconto delle mie montagne”, dice. E se da settembre a Pasqua il Lusernarhof resta un presidio di cucina raffinata e creativa sull’Alpe Cimbra tra licheni fritti, finferli, porcini e bacche di bosco, negli altri mesi la famiglia chiude per dedicarsi allo street food ai mercatini di Natale a Trento. “Facciamo il tortel di patate in una variazione di passeggio”, conclude Luca.
2) Il formaggio Vezzena
A due passi vengono a pascolare le mucche col cui latte viene prodotto il formaggio Vezzena, presidio Slow Food. Il latte viene portato da cinque contadini soci al Caseificio degli Altipiani e del Vezzena, guidato da Marisa Corradi, per essere lavorato da un giovanissimo casaro, Federico Lorenzin, 23 anni, e da due aiutanti. E’ la cooperativa più piccola del Trentino e ha un fiore all’occhiello: il formaggio Vezzena di Lavarone, presidio Slow Food. Viene prodotto a latte crudo parzialmente scremato, nel periodo estivo si produce quello di malga, nel resto dell’anno si usa invece latte di fieno. Il caseificio produce 600 forme al mese.
3) L’accoglienza: hotel storici e campeggio
C’è solo l’imbarazzo della scelta fra baite, appartamenti e hotel. Fra i più antichi di Folgaria, l’hotel Club Alpino, nato nel 1902 con solo tre stanze, oggi tre stelle ed eco-friendly, gestito da quattro generazioni dalla famiglia Struffi. Tra le novità il campeggio 4 stelle Essenza Alpina, sempre a Folgaria, con bagno turco e sauna nordica (qui il costume è bandito): aperto da un anno in stile alpino e raffinato, propone rituali di benessere come l’Aufguss, un’esperienza di purificazione e rilassamento attraverso i profumi delle essenze e i movimenti armoniosi del maestro, in questo caso una maestra, Sara Della Giacoma, che gestisce l’impianto col marito Nicola Bailoni
4) Il paese con gli occhi di Santa Paolina
L’Altopiano della Vigolana, a pochi chilometri da Trento, è un comune diffuso di oltre cinquemila anime nato dall’unione di quattro diverse municipalità. Il municipio si trova a Vigolo Vattaro, luogo di nascita di Santa Paolina Amabile Visintainer, conosciuta come la santa patrona degli emigrati trentini Nata in una famiglia poverissima, fin da bambina emigrò in Brasile, dove da umile ragazza diventò la fondatrice della congregazione delle Piccole suore dell'Immacolata Concezione. Da sola, ha fondato 450 case di istruzione e accoglienza per gli anziani, oltre a un ordine presente in tre continenti, ed è stata proclamata santa, la prima in Trentino, da Giovanni Paolo II nel 2002. “Lei è il simbolo dell’emigrazione - spiega la vicesindaca, Michela Pacchialet -.Qui abbiamo la sua casa natale, le suore e un sistema di accoglienza per i tanti emigrati che vogliono tornare nella loro terra alla ricerca delle loro radici. Solo l’anno scorso ne abbiamo accolti 650. Dal Trentino partirono in 60mila, oggi gli oriundi trentini in Brasile sono 2 milioni”. L’anno prossimo cadranno i 150 anni dalla prima migrazione.
Oggi i discendenti di quegli uomini e donne poverissimi tornano in Italia e trovano qui il paese capofila del cosiddetto “Turismo delle radici”, con un itinerario nel paese che passa dalla vecchia filanda al municipio, ex casa di Maria Callas, il cui primo marito Giovanni Battista Meneghini aveva una fabbrica proprio qui, per svilupparsi, passando dalla chiesetta di San Rocco e dalle ville, fino al Bosco delle radici, dove gli emigranti possono piantare un albero: un simbolo di speranza sulle radici spezzate dalla tempesta Vaia.
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