A Vigolo Vattaro, la prima filanda fu avviata nel 1847. Chiuse nel 1914, mentre era condotta dalla ditta francese Payen. Era localizzata nel complesso delle case dei Zamboni.
Questo tipo di industria fu agevolato dalla possibilità di coltivare in un ambiente ideale il gelso, introdotto in Trentino nei primi decenni del XV secolo.
Il periodo d’oro dell’industria serica trentina è tuttavia collocato molto più avanti, fra il 1850 ed il 1870, quando nelle filande furono adottate innovazioni tecniche, cominciando dall’uso del carbone per il riscaldamento delle “caldere”, le caldaie nelle quali venivano “cotti” i bozzoli per poi trarne la seta.
Nel 1877 c’erano in Trentino 191 filande. Da quel momento iniziò la crisi dell’industria serica in Trentino, tant’è che nel 1900 le filande erano appena 14.
L’industria serica, all’interno dell’Impero austroungarico, non riusciva più a reggere la concorrenza dell’Italia e della Francia, che avevano una differente legislazione che regolava il lavoro nelle filande. La legge austriaca era infatti molto più severa e non ammetteva che le ragazze cominciassero a lavorare prima di aver compiuto 14 anni. Peraltro, questa ricostruzione degli storici non corrisponde in pieno con la realtà.
In Vigolana, la filanda localizzata a Cain, nel complesso delle case dei Zamboni era la principale. Nel periodo di maggior sviluppo consumava 5000 quintali di carbone all’anno.
Le cinque filande occupavano 200 donne di Vigolo, Vattaro e Bosentino ed alcuni uomini addetti ai lavori più pesanti. Il compito di S. Paolina nella filanda consisteva nel tenere lontani i bozzoli l’uno dall’altro con uno scopino. Se il filo si spezzava doveva subito cercare di sistemarlo collegandolo con quello rotto senza interrompere il movimento della macchina.
Le poche notizie tramandate dicono che S. Paolina spiccava per la sua generosità, se è vero che si privava della propria merenda per donarla ad altre bambine più povere.
Dopo la prima guerra mondiale, la ditta Payern tornò a Vigolo per riaprire la filanda, ma il sindaco declinò l’offerta con la motivazione che “la filanda era la tomba della gioventù” per i numerosi casi di tubercolosi che essa procurava. Il lavoro era durissimo, a cominciare dal monte-ore richiesto.
Le ragazze erano costrette a lavorare sopra delle bacinelle con acqua caldissima che emanava un vapore maleodorante, erano poi tutte gracili a causa dell’alimentazione insufficiente.
La filanda apriva i primi di luglio e vi si lavorava per 10 mesi, fino all’aprile dell’anno successivo.
Liberamente tratto da “Madre Paolina la santa degli emigrati trentini” di Carlo Bridi Ed. Litografica Editrice Saturnia 2017
Questo tipo di industria fu agevolato dalla possibilità di coltivare in un ambiente ideale il gelso, introdotto in Trentino nei primi decenni del XV secolo.
Il periodo d’oro dell’industria serica trentina è tuttavia collocato molto più avanti, fra il 1850 ed il 1870, quando nelle filande furono adottate innovazioni tecniche, cominciando dall’uso del carbone per il riscaldamento delle “caldere”, le caldaie nelle quali venivano “cotti” i bozzoli per poi trarne la seta.
Nel 1877 c’erano in Trentino 191 filande. Da quel momento iniziò la crisi dell’industria serica in Trentino, tant’è che nel 1900 le filande erano appena 14.
L’industria serica, all’interno dell’Impero austroungarico, non riusciva più a reggere la concorrenza dell’Italia e della Francia, che avevano una differente legislazione che regolava il lavoro nelle filande. La legge austriaca era infatti molto più severa e non ammetteva che le ragazze cominciassero a lavorare prima di aver compiuto 14 anni. Peraltro, questa ricostruzione degli storici non corrisponde in pieno con la realtà.
In Vigolana, la filanda localizzata a Cain, nel complesso delle case dei Zamboni era la principale. Nel periodo di maggior sviluppo consumava 5000 quintali di carbone all’anno.
Le cinque filande occupavano 200 donne di Vigolo, Vattaro e Bosentino ed alcuni uomini addetti ai lavori più pesanti. Il compito di S. Paolina nella filanda consisteva nel tenere lontani i bozzoli l’uno dall’altro con uno scopino. Se il filo si spezzava doveva subito cercare di sistemarlo collegandolo con quello rotto senza interrompere il movimento della macchina.
Le poche notizie tramandate dicono che S. Paolina spiccava per la sua generosità, se è vero che si privava della propria merenda per donarla ad altre bambine più povere.
Dopo la prima guerra mondiale, la ditta Payern tornò a Vigolo per riaprire la filanda, ma il sindaco declinò l’offerta con la motivazione che “la filanda era la tomba della gioventù” per i numerosi casi di tubercolosi che essa procurava. Il lavoro era durissimo, a cominciare dal monte-ore richiesto.
Le ragazze erano costrette a lavorare sopra delle bacinelle con acqua caldissima che emanava un vapore maleodorante, erano poi tutte gracili a causa dell’alimentazione insufficiente.
La filanda apriva i primi di luglio e vi si lavorava per 10 mesi, fino all’aprile dell’anno successivo.
Liberamente tratto da “Madre Paolina la santa degli emigrati trentini” di Carlo Bridi Ed. Litografica Editrice Saturnia 2017